Sembra passata un'eternità dall'ultimo capitolo, non è vero? Effettivamente sono passati due mesi e mezzo. Inutile fornire motivazioni se non che la vita reale ha preso il sopravvento, ma spero di riuscire a tradurre il prossimo in meno tempo, trovando magari nuovamente una cadenza di pubblicazione. I ringraziamenti vanno alla sempre presente editor Sara che anche stavolta ha svolto un lavoro perfetto e rapido.
Per chi si accingesse a leggere per la prima volta la traduzione di questo romanzo fornisco i link ai capitoli del primo atto (dal prologo fino al capitolo 7):
E il link al capitolo precedente:
http://nopipeblog.blogspot.it/2014/02/stranezza-di-proporzioni-capitolo-8.html
Per chi invece volesse acquistare il libro in lingua originale (sia formato elettronico che cartaceo):
http://www.drivethrufiction.com/product/96994/Strangeness-in-the-Proportion
Bando alle ciance ed ecco a voi il capitolo!
Interludio: arti fantasma
Mi chiedono come posso
esserne così sicura.
Gli dico che una madre sa.
Sangue del tuo sangue. I mutilati a volte si lamentano degli arti
fantasma, del formicolio e del solletico dove stavano il loro braccio
o gamba. A volte sento il formicolio. Proprio qui. Piccole dita
grassocce, fredde e morte che solleticano le mie costole
dall'interno.
Mi chiamano assassina. Mi
sputano addosso. Mio marito mi ha persino chiamata mostro, durante il
processo.
Poi mi dicono, no-no-no.
Non sono un mostro. Sono solo malata mentalmente. Non mi metteranno a
dormire. Semplicemente mi chiuderanno a chiave nel colore
dell'emicrania. E lo fanno. Per un po'.
Gli dico che penso ci sia
stato una specie di orribile sbaglio. Ecco perché sei pazza, dicono.
Ma “pazza” è una brutta parola, dicono; non la usiamo più. Poi
cantano in continuazione la stessa canzone. Non mi piace. Gli dico
che è tutto sbagliato. Hanno frainteso.
Questo non gli piace.
Per quasi vent'anni
cantano la stessa canzone, ancora e ancora. Mi arrendo. Canto con
loro. Ormai conosco tutte le parole. Questo gli piace. E' proprio la
canzone che volevano ascoltare. Mi lasciano andare. “Sei guarita,”
dicono. “Vai a fare qualcosa di degno con la tua vita.”
Si suppone che dovrei
vedere qualcuno riguardo una sistemazione, riguardo un lavoro. Non lo
faccio. Vado al negozio di ferramenta e compro un badile.
Per oltre vent'anni hanno
cantato la stessa canzone, nel colore dell'emicrania, e io non so
più. Devo esserne sicura. Non è una tomba molto grande. Eppure, è
una fatica. I miei muscoli sono in preda ai crampi. Ma continuo a
scavare. Mi strappo qualcosa nella spalla. Ma continuo a scavare.
Vomito. Ma continuo a scavare.
Comincia a piovere e non
riesco a percepire con certezza se sto ancora piangendo, eccetto per
i singhiozzi che scuotono il mio corpo. Il badile sferraglia contro
qualcosa di duro. Credo di urlare, sebbene i miei denti siano
totalmente bloccati. Devo aver lasciato cadere il badile perché sto
artigliando il fango, le unghie che si spezzano e si strappano.
Sento piccole dita che mi
solleticano dall'interno della pancia. Mi manca il mio bambino. Era
così bello. Conoscevo ogni centimetro di lui, le sue piccole mani,
le sue piccole dita, ogni capello sulla sua testa. Una volta passavo
ore facendo scorrere leggermente il mio mignolo lungo i suoi piccoli
palmi perché si sentisse al sicuro.
Mi accanisco sulla
minuscola bara con le mani insanguinate. Sento il solletico di
piccole dita morte. Mi dicono che sono pazza, ma si sbagliano. Ho
avvertito il solletico morto ben prima dell'assassinio.
Non era il mio piccolo
ragazzino---il mio dolce, dolce bambino. Un orribile cuculo lo ha
portato via. Ho inzuppato la sua testa sotto la tiepida acqua del
bagnetto. Ho stritolato il suo piccolo collo.
“Dov'è il mio bambino?”
Grido.
Non risponde,
semplicemente guarda in alto verso di me con la faccia del mio
bambino. Si difende attraverso una maschera che fa a pezzi il mio
cuore. Lo trattengo sotto e stringo.
“Dov'è il mio bambino?”
La maschera diventa blu e
viola. Eppure continuo a stringere e urlare.
“Dov'è il mio bambino?”
Poi mio marito è lì,
gridandomi di lasciarlo andare, ed io non lo faccio, e lui mi
colpisce in faccia finché non svengo.
Apro la bara. Sento
piccole dita morte, perché dentro la bara, la minuscola bara, dentro
il piccolo completo e cravatta, c'è un minuscolo spaventapasseri
fatto con steli di grano, paglia, e cartine di caramelle stretti
assieme con un filo spinato arrugginito, tappato con una testa di
coniglio imbalsamata e impalata su un ramoscello.
Capitolo 9
Non oltrepassare.
Il vento soffia di nuovo e
ciò che rimane del nastro da scena del crimine scatta, giallo e
arrabbiato, con il suo avvertimento finale.
Non oltrepassare.
Simon strappa il nastro e
avanza nelle tenebre.
La torcia elettrica fa
clic accendendosi. Gemiti lignei e scalini sgangherati conducono
Simon in alto e lontano in un edificio svuotato e parzialmente
demolito.
“Una volta era un pub,”
dice Simon al suo registratore digitale. “Un vecchio pub. Proprio
dall'altra parte della strada dove hanno sparato a John Dillinger.”
Non oltrepassare,
mormora il fascio di nastro trattenuto nella mano di Simon. Scalini
lamentosi lo portano ancora più in alto---solo i corvi
a-testa-in-giù, dal loro peculiare posatoio, possono vedere la
discesa. Tenebre, tubi e parti esposte dello scheletro dell'edificio.
Ogni frammento di legno brontola in modo lamentoso, cercando di dire
qualcosa a Simon nel proprio accento tarlato-ammuffito.
Oltre gli scalini dalla
parlata scricchiolante, fuori dal buio bagnato, Simon è sopra e
all'esterno, su un ponte di legno rialzato che poggia tra gli
edifici, una birreria all'aperto. Nel centro del ponte, crescendo
apparentemente in modo inspiegabile fuori dallo spazio tra gli
edifici e dal cemento, c'è un grande albero, il cuore della
birreria.
L'albero, e gran parte
della balaustra, è incordato con spire avvinghiate di luci
natalizie, come un'edera di plastica cresciuta eccessivamente. Un
vecchio tavolo da picnic marcisce stoicamente nell'angolo.
Probabilmente c'erano tavoli e sedie disseminati ovunque, una volta.
Simon tocca l'albero.
Dopo aver poggiato la sua
valigetta da scena del crimine sul tavolo da picnic, tira fuori un
Thermos nuovamente riempito. Comincia la sua seconda dose di assenzio
per la nottata con uno sbuffo e le Cornacchie crescono frivole, la
cavità dell'albero fantasma che forma un viso nella sua testa.
Crunch-crunch fanno
le foglie cadute sotto i piedi ubriachi di Simon mentre percorre in
tondo e in tondo l'albero della birreria.
Crunch-crunch.
Lì.
Crunch-crunch.
“Questo è l'albero---e
quello è l'orlo---su cui è cresciuto il ramo---a cui hanno appeso
la corda---che ha impiccato Jane,” dice Simon al registratore.
“E le foglie crespe
sibilano tutt'intorno, tutt'intorno. Le crespe foglie sibilano
tutt'intorno,” cantano le cornacchie come ritornello.
Crunch-crunch.
“Il leggero sfregio sul
ramo è conforme con l'azione di taglio di una corda ruvida, che
scorreva su e giù, mentre sollevavano e abbassavano Jane più
volte.”
“Arrampicati sul ramo
tintinnante!” gracchiano le Cornacchie. “Vogliamo vedere da là.”
Inebriato ma agile, Simon
scala l'albero e striscia verso i rami appesi, trovando la cicatrice
nella corteccia.
“La cicatrice di Jane.”
Simon accarezza il segno.
Chiude gli occhi e memorizza ogni contorno. Sfrega una pallida
guancia sulla ferita...
“Al lavoro, ragazzo, al
lavoro,” lo richiamano le Cornacchie.
Scatta sull'attenti,
notando il cielo di ottobre. Un frammento di nuvola cattura il
chiarore lunare e si accende di un freddo bruciore, e Simon vede
agitarsi i pallidi capelli di Jane nella stratosfera. Stava
cominciando a vederla ovunque---nei riflessi e in forme indefinite e
stimoli casuali dei sensi. Noi, tutti noi, lo abbiamo fatto---la
dissezione mentale delle parti del corpo di coloro che amiamo: un
naso grazioso, un sorriso, un orecchio dilettoso. Li tagliamo via
nelle nostre menti, portandoli con noi come dei ricordi. Poi li
posizioniamo, come pezzi di puzzle, in ogni forma compatibile che
troviamo nel vasto mondo, e ricordiamo i nostri amati con questi totem.
Simon non è differente. Vede i capelli di lei in una nuvola, i suoi
occhi dorati ogni volta che chiude i suoi e un'immagine residua
permane, la sua bocca scherzosa sull'orizzonte, le sue unghie
ridicolmente arancioni come dei Jack O'Lantern accesi, le sue
orecchie di fata, il collo delicato, la forma peculiare del suo
fegato, l'esatta consistenza dei suoi intestini, il delicato
movimento del suo petto che si apre nel dispiegamento delle sue
stesse mani, la freddezza del suo tocco nell'apertura di un frigo,
l'esatto peso del suo cuore in un grappolo d'uva tenuto in mano. Vede
Jane ovunque.
“Al lavoro!” lo
richiamano le Cornacchie.
Simon osserva la scena del
crimine dall'alto. Le prove individuali sono già state prese, ma lui
vuole la sensazione, il tatto di tutto il
luogo. E' racchiuso dagli edifici circostanti. Nessuna vista dalla
strada... ma ci sono un po' di finestre e nulla per mascherare alcun
suono.
“Gli assassini avevano
pianificato di interrogare Jane,” dice Simon al registratore.
“Questa locazione... è stata improvvisata per qualche ragione.”
Il nostro eroe da film
muto rimuove la sua bombetta nera e la fa girare nell'aria,
lasciandola atterrare accuratamente sulla sua valigetta in basso. Si
gira sul ramo, sedendosi, poi appoggiandosi dietro, bloccando il
retro delle sue ginocchia sul ramo e cadendo
all'indietro---buttandosi a testa in giù, le mani dondolanti come
quelle di un ragazzino che gioca, i capelli penzolanti. Il movimento
della caduta fa cascare gli occhiali dal viso---ma la sua mano scatta
con una velocità da lingua-di-geco, catturandoli e facendoli tornare
sulla faccia. Simon spesso lascia cadere cose, ma le riesce sempre a
prendere al volo. Le Cornacchie alzano le teste in preda alla
curiosità per la loro prospettiva mutata mentre Simon pende a testa
in giù dal ramo dell'albero, dondolando nel vento, pendendo come una
Jane rovesciata.
Simon spinge via la sua
cravatta penzolante dal viso, infilandola sotto la camicia. Ondeggia,
le braccia pendenti in basso, comprendendo l'istante.
“Questo,
proprio---qui---è
dove pendevi, Jane,” Simon dice al registratore, abbracciando
l'aria vuota di fianco a lui. “Hai danzato nel vento,” dice al
registratore---dice, retroattivamente, allo spazio vuoto che una
volta conteneva Jane. “Il piccolo ragazzino ti ha visto da---”
Simon indica “---quella finestra.”
“Ce n'erano quattro. Uno
ti ha impiccata; era grosso. Uno di loro ti ha fatto delle domande.
Uno di loro rideva mentre soffocavi. E uno di loro piangeva. Li
conoscevi già da prima. Volevano qualcosa da te. Hai graffiato uno
di loro, quello grosso.”
Simon ascolta il sibilo
delle foglie.
La sente---la sensazione
delle chiavi perdute, il compito di matematica andato perso.
“Click-clack-crack,
Simon,” mormorano i corvi. “C'è
qualcosa qui!”
Gli occhi di Simon
scattano intorno, a testa in giù. Non è certo di trovarsi più al
sicuro stando sull'albero o se ciò lo rende solo una pentolaccia di
carne dondolante per l'uomo nero.
Simon si issa mettendosi
seduto, si spinge indietreggiando, e atterra leggermente sul terreno
con una capriola all'indietro.
“Sei la mia ombra,”
dice Simon. “So che sei lì. Cosa sai di Jane?”
Silenzio.
Le foglie sibilano anni di
segreti raccolti e origliati dalla birreria all'aperto.
Thump.
Qualcosa che è stato
lanciato atterra ai piedi di Simon. Poi una distorsione. Poi una
nuvola di foglie scalciate in aria. Poi nulla. Simon guarda in basso.
Un ratto morto. Perchè?
All'inizio tutto quello
che vede è l'infestatore morto. Le Cornacchie però gorgheggiano
affamate, e Simon vede quello che loro stanno osservando: un corpo
morto, una minuscola finestra per l'Acqua Morta. La bocca di Simon si
inumidisce.
Si.
Solo un assaggio.
Solo una dose.
Simon trangugia
l'assenzio, indossa i guanti di lattice, e fa apparire un bisturi.
“Soggetto: grasso
ratto.”
* * * * *
Dove siamo?
Il sonno non ha un
luogo da chiamare casa.
* * * * *
L'amore morto solletica,
anche solo il più piccolo assaggio di esso. Simon sogghigna. La sua
bocca è un cimitero di nuove e scintillanti lapidi raccolte a
mezzaluna. Sorride come se gli fosse stato raccontato un segreto.
Simon siede sul pavimento
di legno, la schiena poggiata all'albero della birreria all'aperto,
sprofondato in avanti, la testa bassa. Le sue mani di lattice blu si
alzano al livello delle spalle: una mostra un bisturi insanguinato,
l'altra un ratto morto colante viscere dalla propria incisione a Y. I
suoi occhiali siedono storti, pendendogli da metà viso. Il corpo di
Simon sobbalza su e giù. Il bisturi danza nell'aria, conducendo la
musica che suona solo per lui.
“Causa della morte:
veleno,” dice Simon. “La vittima viveva sotto la birreria
all'aperto.”
Situati nitidamente di
fronte a Simon sono gli organi individuali del ratto, ognuno in
mostra sulla propria foglia sul pavimento. Simon con riverenza mette
giù il ratto e il bisturi. Il vento soffia e ora
Simon può comprendere cosa dicono le foglie
quando sibilano, cosa risponde il legno quando scricchiola.
Quel posto, Jane---il
pub e birreria all'aperto. Non era poi così diverso da un
cadavere---un insieme di resti fisici, un reliquario per ricordi
investiti e nostalgia.
Questa è stata una casa
felice. Molte libagioni sono state versate qui, molti amici sono
stati fatti, molte risate liberate. Avevano letto storie qui, sotto
le luci sfavillanti dell'albero casa---poesie e storie di fantasmi.
Avevano recitato teatro qui. Tutte quelle notti in questo posto che
scricchiola e parla, sotto l'albero sfavillante, oltre un congresso
di ratti davvero grassi, davvero letterati---e tutti quei racconti di
fantasmi e rime e battute di Shakespeare intrappolate negli anelli
dell'albero---ricordi nascosti nel fogliame.
Simon afferra una foglia
nella sua mano di latex blu insanguinata, la porta all'orecchio e la
sbriciola, ascoltando i ricordi ossessivi nel secco crunch-crackle.
“Azione!” gridano le
Cornacchie.
Simon si alza ubriaco in
piedi, i capelli selvaggi come paglia nera; le braccia che pendono
inerti; mani di lattice blu, insanguinate, distese ai fianchi.
Barcolla come la bambola-Vodoo zombificata imperatrice delle foglie
cadute. Il suo sorriso è un cimitero baciato dalla luna.
Mi hai aiutato a
capirlo, Jane. Potevo portare l'Acqua Morta dal mio mondo interno al
mondo esterno.
Il patologo vaglia tutti i
ricordi del luogo cadavere. Il più recente: traumatico. Simon si
inchina e le Cornacchie applaudono con le ali. Lo spettacolo sta per
cominciare.
Simon guarda la cicatrice
sul ramo dell'albero. La cicatrice di Jane. Senza mai distogliere gli
occhi, cammina in un punto molto specifico. Con l'esagerazione di un
mimo tira la corda---commedia macabra, il Charlie Chaplin
impiccatore.
“Lui è l'uomo che ha
compiuto l'impiccagione e il suo nome è Hector,” dice Simon alla
sua mano blu e insanguinata, sebbene il registratore sia ancora nella
sua tasca. “E' davvero grosso. Hector ha tirato su Jane tutto da
solo. E, Jane---tu hai graffiato la faccia di Hector e lui si è
infuriato. Lo hai fatto infuriare di proposito, non è così? Così
infuriato, che ti ha uccisa. Hector, nella sua furia, ti ha uccisa
prima che potessero ottenere ciò che volevano. Lo hai fatto di
proposito.”
Le foglie sibilano e le
Cornacchie applaudono.
Le gambe malferme di Simon
lo portano, come un ragno ubriaco, in un altro punto specifico. Simon
mette su una ridicola faccia malvagia, un cattivo da vaudeville, poi
urla qualche orazione silente prima di cominciare a parlare di nuovo.
“Lui è l'uomo che ti ha
fatto le domande e il suo nome è Gabe,” dice Simon alla sua mano
vuota, colante. “Questo era il suo piano, uomo astuto. Ti ha fatto
delle domande. Hector ti ha alzata e abbassata. Gabe ha chiesto. E
poi Hector ti ha sollevata. Gabe voleva qualcosa. Si è arrabbiato
quando Hector ti ha uccisa prima che avesse finito. Hector è forte.
Gabe è pericoloso.”
Le foglie sibilano e le
Cornacchie applaudono.
Simon striscia fino ad un
altro punto. Mima una risata, una risata schiamazzante-folle.
“Lui è l'uomo che ride
e il suo nome è Joe. Joe il Seguace. Lui è lì solo per Gabe. Non
ha altro scopo. Rideva mentre soffocavi, Jane. I suoi fianchi
dolevano quando sei diventata blu. A Joe piacciono dolore e
perversione, specialmente quelli che producono i suoni dei fischietti
da festa. Non ha altri lati.”
Le foglie sibilano e le
Cornacchie applaudono.
Simon danza fino ad un
ultimo punto. Fa una faccia da cartone animato triste.
“Lui è l'uomo che
piange e il suo nome è Alex. Lacrime di rabbia, lacrime di
tristezza. Piangeva mentre ti impiccavano. Lui... lui ti ha baciata
prima di metterti il cappio—-”
Simon si blocca.
Interrotto. A disagio.
“Perché ti ha baciata?”
Le foglie sibilano e le
Cornacchie applaudono.
Simon torna in sé e
ricorda. Cade su mani e ginocchia e striscia in un angolo lontano del
cadavere della birreria all'aperto. Trova un foro masticato in
un'asse di legno, abbastanza largo per infilare...
Con il braccio affondato
fino alla spalla, Simon trova il nido, con il suo ammasso di tesori
luccicanti: un tappo di bottiglia, una lenza, monete, un orologio, e
una chiave. Simon rimuove la chiave.
“Grazie,” dice,
improvvisamente serio, al ratto morto.
Gli accarezza il pelo.
Simon prende la foglia secca con i contenuti deperiti dello stomaco
del ratto.
Sollevando la foglia,
dice, “Questo è il veleno---che ha ucciso il ratto---che ha rubato
la chiave---che Jane ha fatto cadere---che apre la porta---che
contiene altre risposte.”
“E le crespe foglie
sibilano tutt'intorno, tutt'intorno. Le crespe foglie sibilano
tutt'intorno,” cantano le Cornacchie in ritornello.
* * * * *
Un vento si alza,
spazzando lo spazio adesso vuoto. L'albero e il cadavere della
birreria all'aperto attendono la loro demolizione, con solo le foglie
sibilanti a protestare. Tutto ciò che rimane del loro ultimo, strano
visitatore è un ratto dissezionato e delle lettere incise nella
corteccia di un ramo.
J.D.
+
S.M.
* * * * *
Il secondo tassista
riconosce il simbolo sul portachiavi.
A volte, Jane, un luogo
può avere brutti ricordi.
“E' il motel Tanzler.”
E' un edificio stretto,
che sbuca fuori, in modo improbabile, tra due edifici più larghi. Lo
spazio che occupa poteva essere un vicolo grande e molto ostentato,
ma invece ha scelto di essere un motel ristretto. E' un edificio a
due piani schiacciato in tre piani sottili.
L'insegna al neon ammicca:
TA ZL R OTEL.
Dentro, tutto è tenuto
insieme da piastrelle verdi e muffa. La reception, una gabbia
sbarrata, è vuota. Un messaggio scritto a mano reca: Suonare
il campanello. Nessun campanello è presente
però. Simon quietamente cammina fino alla Stanza 303, la stessa
della chiave, e---
La chiave entra.
Un altro ingresso si apre.
* * * * *
Simon guarda attraverso un
opuscolo che vende una serie di audio registrazioni per
l'auto-realizzazione---e poi sta correndo per le strade, sventolando
un martello da fabbro incrostato di sangue chiamato Bob.
Bob è il nome
statisticamente più comune per un amico immaginario. Lo sapevi
questo, Jane?
Non ricorda quando è
andato tutto male. Questo per dire che non ricorda alcuna
transizione, nessuna scivolata tra gli istanti in cui stava guardando
tra gli effetti personali di Jane e quando il mondo è stato affogato
nella paura e in grida di pseudopodi.
Ci sono 6,704,845,726
persone nel mondo e il ventisette per cento di loro sono sotto i
quindici anni di età e i due terzi di loro hanno amici immaginari.
Lo sapevi questo, Jane?
Ha corso per molto tempo;
non sa quanto a lungo. Il suo corpo è acido di batteria. Non può
udire nulla; le urla mute e assordanti annegano tutto quanto. Ha
urlato in silenzio per molto tempo. La sua faccia fa male dalle
contorsioni. Il suo cervello è grezzo. Bob è pesante con i suoi
sangue, ruggine, e ricordi.
Possiamo solo
concludere, Jane, che ci potrebbero essere fino a 603,436,115 Bob
invisibili che vivono nel mondo.
Non riesce a ricordare
tutte le cose che ha visto. E' come provare a ricordare la logica dei
sogni o percorrere ubriachi un labirinto, perduti in modo
impossibile. Le porte non hanno senso: la stanza vuota con la vasca
da bagno, del vecchio tipo con i piedi artigliati, un uomo anziano
nudo che spruzza l'acqua e ride in modo maniacale, come un infante,
la sua gola e polsi tagliati, iper-sorridenti, che spruzzano la
rossa, rossa acqua, la bocca sorridente, la gola recisa sorridente.
Le porte. Le migliaia di occhi. L'odore amniotico. Il suono di un
trilione di animali spaventati e gementi sotto un oceano di merda e
sangue. Bob che distrugge il vetro e Simon che salta fuori dalla
finestra e nessun suono dopo la frantumazione del vetro, solo le
grida silenziose di Simon.
Dove era stata la
transizione? Simon aveva ingerito troppo assenzio dopo che era
capitato nella Stanza 303. Le Cornacchie inutili, troppo ubriache,
erano cadute dai rami di assenzio, cadute nella testa di Simon. Ma il
nostro eroe aveva sorriso. Questo era un luogo sacro. Jane era stata
lì, in vita.
Aveva premuto il suo corpo
dentro il solco nel materasso muffito. Il cuscino portava ancora
l'odore di lei. Lo aveva messo in un borsone. Aveva camminato per la
stanza, ascoltando gli echi di Jane. Aveva bevuto altro assenzio, poi
rabbiosamente aveva trangugiato il resto.
“Troppo,” aveva detto
l'ultima Cornacchia mentre cadeva dall'ora vuoto albero fantasma. I
corvi avevano riempito il terreno nella sua testa come foglie cadute.
Il resto della stanza era
vuoto eccetto per odori di sigaretta e il tavolo. Sul tavolo Simon
aveva trovato un opuscolo del guru del fai-da-te Arthur Drake per il
suo programma di auto-realizzazione, Consumatori Apex.
“Sii alla cima della tua
catena alimentare, negli affari e nella vita!”
Un fiume senza fine di
messaggi promozionali notturni erano echeggiati nei ricordi di Simon.
Il turno notturno porta una persona in una dimensione di messaggi
promozionali. La promessa di Arthur Drake di una vita migliore, più
potente, attraverso il suo programma e i suoi prodotti.
Di fianco all'opuscolo
c'era un volantino, un foglio di carta rosso che diceva Club
Wendigo. La scrittura selvaggia informava che
un incontro doveva tenersi sabato alle 21 ma nessun indirizzo veniva
fornito.
Con questi giaceva una
busta nera di carta pesante e profumata. Simon aveva tirato fuori un
invito su cartoncino e lettere dorate: un cordiale invito ad un party
e cena per gli Irregolari Gastronomici.
E finalmente, sul tavolo,
Simon aveva trovato dei biglietti per un cinema drive-in, fuori da
qualche parte nei sobborghi. Il programma era una doppia proiezione
di Psycho e Gli
uccelli di Alfred Hitchcock.
Ti offrivi, quando
potevi, al tuo piccolo anacronismo, non è così, Jane? Più esumavo,
più amavo.
Poi, naturalmente, c'era
Bob...
Simon corre, adesso,
sebbene non sappia dove si trovi. Non sa dove finisca la sbornia di
assenzio e dove cominci il vero orrore. Quindi scappa da tutto.
Corsi più
profondamente dentro, Jane, più profondamente in basso. Niente
geografia, solo seguendoti più profondamente nel buio. Non si torna
indietro adesso.
Simon aveva trovato il
martello da fabbro nella vasca da bagno, avvolto in stracci unti. Non
gli era piaciuto immediatamente. Brutte vibrazioni.
Lo aveva però scoperto e si era trovato, con
orrore, a scivolare in monomania per l'oggetto, perdendo tempo ad
esaminare ogni suo dettaglio. Questo antico martello, incrostato di
vecchio sangue, strati di sangue. Le lettere B-O-B
erano graffiate profondamente nel metallo
arrugginito della testa.
Usavano martelli come
questo nei mattatoi, Jane. Cantavano ninna nanne nelle teste del
bestiame.
La follia si era insinuata
a un certo punto.
Simon smette di correre.
Cade in ginocchio,
cercando di respirare, e quando non ci riesce vomita Acqua Morta
abortita. Il suo sistema, troppo tardi ormai, cerca di purgare il
veleno. Il mondo si scioglie e si ricostruisce. Quanto è corso
lontano dal Motel Tanzler?
Simon avvolge il martello
nei suoi stracci, lo infila nel borsone, con gli altri artefatti di
Jane. Dove si trova? Simon trova i suoi occhiali in una tasca e li
mette, per scoprire un'orrenda faccia da clown che sta per staccargli
la testa con un morso.
“Ah!”
Simon cade indietro.
Le Cornacchie singhiozzano
nel suo cranio.
Simon guarda ancora e vede
una grottesca faccia da clown con un ghigno plastico, da
gargoyle---il tipo di ghigno che scaccia gli spiriti malvagi dalle
torri gotiche; il tipo di ghigno che fa Arthur Drake nei suoi
messaggi promozionali---dipinto davvero grottesco sotto il trip di
verde alchimia.
E' un tabellone di
ordinazioni di un fast-food.
L'altoparlante è nella
sua bocca. La faccia è scura, spenta, così come lo è il ristorante
fast-food. Il posto è chiuso, sbarrato. Un guscio contenente un
regno di parassiti che cercano del grasso antico.
Simon ha visto questi
ristoranti clown-burger chiusi che punteggiano la città.
Nessuno sembra
ricordarsi, Jane, quando sono stati chiusi o quando e se siano mai
stati aperti. Non ricordo di averli mai visti in attività.
Simon rabbrividisce. Non
gli sono mai piaciuti i clown, non ha mai capito perché i genitori
spingano i loro figli verso dei tali simboli universalmente
spaventosi. Poi quei figli crescono e gettano la generazione seguente
alle creature.
“Vai ai strizzargli il
naso, tesoro!”
Gettiamo i nostri bambini
ai mostri durante i loro compleanni. Supponiamo, solo per un momento,
che queste feste di compleanno contengano gli elementi vestigia di
antichi riti messi in atto nei giorni in cui ancora competevamo con
il Neanderthal. Forse, gli sciamani paleolitici ricoprivano le loro
facce con pitture grottesche, attaccavano i bambini con strane
cadute, risate da iena, e bizzarre prove di destrezza. I bambini che
resistevano diventavano gli uomini e donne della tribù; trionfanti,
soffiavano via il fuoco della loro infanzia. I bambini che piangevano
o scappavano venivano uccisi, sacrificati a entità oscure e mangiati
ritualisticamente alla celebrazione del compleanno. Forse alcuni
bambini moderni---lontani solo un pugno di inverni dall'utero e da
quella linea pulsante e schiacciante che porta alla memoria
collettiva---ricordano, e la vista di quell'orrenda faccia ricoperta
di cerone vivifica la rimembranza antidiluviana, un'impressione
genetica di quelle celebrazioni selvagge: il sangue, gli ululati, le
daghe in vetro di ossidiana. E il piccolo tesoro singhiozza, lascia
andare il suo palloncino, si piscia nei pantaloni.
Simon fissa la faccia da
clown con un timore ubriaco.
Una gara di sguardi.
La faccia da clown vince.
Poi le labbra del clown si
muovono, declamando profanità stravaganti. Simon sa---o almeno
sospetta---che questo è solo un sottoprodotto da chimica di
assenzio. Crolla rannicchiandosi come un alcolizzato, di fronte alla
faccia di plastica.
“Sai dove si trova
Jane?” chiede alla testa da clown.
Silenzio. Un vento scivola
per le strade. Un sacchetto di plastica danza nell'aria ma fallisce
nell'essere bello. Poi, un ronzio. Una vibrazione. Cicale
geocentriche che si sintonizzano. Simon scava nell'orecchio con un
dito ma l'anti-suono non scema.
La faccia da clown si
accende, accecante nel buio, sfolgorando giù verso Simon dall'alto.
Risa distorte escono dalla sua bocca---troppo lente---troppo
veloci---troppo basse---alte. Una brutta musica elettronica da circo
si accende, poi muore, affogata nelle ondate di risate deformate.
Finalmente, elettricità
statica.
Elettricità statica
sibilante.
Ci sono suoni perduti
nell'elettricità statica, qualcosa al di sotto del registro del
pensiero razionale. Elettricità statica demoniaca. Più forte. Più
forte!
Simon si prende le
orecchie, i denti che vibrano. Schegge di voci e significati,
mescolati, fendono aprendo i suoi timpani.
La reazione esplode in
faccia a Simon. Un lampo di luce. Mentre sviene lo ha quasi
carpito---oltre le risate e la musica da pandemonio, dentro il codice
dell'elettricità statica c'è il segnale, che guadagna sintassi e
cadenza e scopo.
Simon cade dentro brutte
metafore di incoscienza.
L'elettricità statica
demoniaca lo segue.
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